Lunedì mattina abbiamo fatto la nostra mensile “call team”, una riunione di mezz’ora in videoconferenza in cui, da redazione diffusa quale siamo, ci riuniamo, ognuno al proprio tavolo, per aggiornarci e discutere su novità e necessità tecniche ed editoriali.
Nel nostro caso lo smart working, di cui stiamo parlando tutti in questi giorni, è una soluzione richiesta da “cause geografiche di forza maggiore”, e qui vi raccontiamo che strumenti usiamo e cosa stiamo imparando da questo modo di lavorare.
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Gli strumenti
Il nostro kit per il lavoro a distanza è snello, “da bagaglio a mano”, potremmo dire:
- abbiamo sviluppato internamente un software proprietario che è il nostro Editor e usiamo Mailchimp, programma per l’invio di newsletter, con cui inviamo i briefing;
- su Google Drive abbiamo invece alcuni documenti condivisi che ci servono per gestire il lavoro – per esempio, un foglio di calcolo con i turni mensili – e per produrre il briefing – come l’agenda degli appuntamenti della settimana e alcuni file dedicati a raccogliere i link per le letture della sezione Weekender e le aperture della domenica;
- per le comunicazioni rapide abbiamo scelto Slack, piattaforma di messaggistica che permette di scambiarsi file e immagini e di creare dei canali tematici all’interno dei quali segnaliamo, ad esempio, un link a una notizia interessante o la necessità di modificare un turno di lavoro;
- per le videochiamate, infine, usiamo Zoom, una sala riunioni virtuale, a cui ci si può collegare via computer e telefono.
Che cosa ci sta insegnando lo smart working
- Lavorare a distanza richiede una certa dose di autodisciplina. Ma il risultato è che poche – la quantità fa la differenza! – regole chiare, se condivise e rispettate, possono generare sufficiente armonia e consentire un ritmo produttivo regolare.
- Lo smart working aguzza l’ingegno. In primo luogo, per definire cosa è fondamentale e cosa no (vedi le regole condivise di cui si parlava al punto precedente). E poi per trovare, di volta in volta, soluzioni adatte alle necessità che si presentano.
- L’effetto “particella di sodio”, conveniamo, è quasi inevitabile. Ma è curabile, con un po’ di proattività: hai una domanda, un dubbio, una proposta? Scrivi o chiama chi può darti un chiarimento.
- Per lo stesso motivo, da qualche tempo abbiamo deciso di fare delle video chiamate periodiche, settimanali o mensili a seconda dell’argomento, per guardarci in faccia e parlare, “avvicinandoci” un po’ più del solito. E, almeno una volta l’anno, un incontro in carne e ossa (possibilmente anche conviviale) è d’obbligo (virus permettendo)!
- Con il crescere del team, come tutte le aziende, abbiamo avuto la necessità di definire meglio i ruoli e distribuire gli incarichi. Questo ha una ricaduta positiva anche sulla gestione della distanza: ruoli definiti e condivisi aiutano a ridurla ulteriormente, inquadrando chi è il riferimento giusto rispetto all’esigenza che si ha e ottimizzando il tempo che ognuno dedica al lavoro.
- Lavorare lontani può essere stressante perciò flessibilità e cooperazione sono due doti su cui è importante l’investimento di ciascuno.
Per riassumere con una metafora la nostra esperienza con lo smart working, potremmo dire che somiglia alle reti elastiche con cui giocavamo da bambini.
Il progetto è la cornice che tiene la rete; la trama è fatta dall’attività delle persone e dagli strumenti. L’atteggiamento con cui lavoriamo è ciò che rende la rete più elastica e il risultato migliore.
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