Pubblichiamo uno dei testi del nostro libro “L’anno che verrà – 2020” scritto da Marina Lalovic
Il 2020 per i Balcani rappresenterà l’ennesimo banco di prova per l’adesione all’Unione europea. Il mancato avvio dei negoziati da parte dell’Ue per la Macedonia del Nord e l’Albania durante l’ultimo Consiglio europeo ha lasciato le conseguenze per il futuro politico del premier macedone Zoran Zaev. La Macedonia del Nord dovrà affrontare le nuove elezioni dopo che la principale promessa di Zaev, in cambio dell’accordo con la Grecia sul nuovo nome del Paese in Macedonia del Nord, è naufragata. Si tratta invece di una mossa rischiosa soprattutto per l’Ue voluta dalla Francia e dal presidente Emmanuel Macron che insiste sulla necessità della risoluzione dei problemi interni all’Ue prima di aprirsi ai nuovi Stati.
I Balcani intanto aprono ai concorrenti extraeuropei: la Cina, la Russia e la Turchia. Lo dimostra il recente accordo fra la Serbia e l’Unione euroasiatica stipulato a ottobre a Mosca. Privo di un’importanza economica fondamentale, l’accordo rappresenta invece un chiaro segnale politico per Bruxelles: il Paese balcanico potrebbe farcela anche senza l’appoggio dei partner occidentali. Con questa mossa, la Serbia afferma di essere il Paese leader della politica dell’anomalo non allineamento portata avanti dall’attuale presidente Aleksandar Vucic che governa stando in bilico fra l’appoggio alla Russia e le promesse dell’adesione all’Ue.
Lo scoglio principale rimane ancora l’accordo mancato fra Belgrado e Pristina a vent’anni dalla fine della guerra in Kosovo. Il nuovo premier nazionalista kosovaro Albin Kurti potrebbe cambiare le carte in tavola dopo il perenne stallo nutrito dalla stessa élite politica di vent’anni fa: come a Belgrado così a Pristina.
Nel 2020 rincorrono anche i vent’anni dalla caduta dell’ex presidente serbo Slobodan Milosevic, destituito il 5 ottobre del 2000. Questo anniversario ricorda la vera emergenza che accomuna tuttora l’intera regione dei Balcani occidentali: spopolamento ed emigrazione. Gli ultimi dati dell’Eurostat dimostrano come 230 mila persone hanno lasciato la regione nell’ultimo anno. Il numero maggiore si registra in Albania (62mila) seguita dalla Bosnia Erzegovina (53mila), la Serbia (51mila) Macedonia del Nord (24,400) e Montenegro (tremila). A differenza di vent’anni fa, oggi non si parte soltanto per i motivi economici ma per quella che viene definita l’atmosfera politica tossica e la totale mancanza di prospettive.
Nel 2020 la Croazia avrà la presidenza di turno dell’Ue per la prima volta dall’adesione nel 2013. A maggio a Zagabria si terrà un altro summit decisivo per il futuro dei Balcani occidentali. E se nel 2020 ancora si deciderà sugli esiti della Brexit, rimane da chiedersi se l’Europa vorrà accogliere i Balcani e aiutarli a trattenere i giovani emigrati.
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