Pubblichiamo uno dei testi del nostro libro “L’anno che verrà – 2020” scritto da Daniele Moretti
“Oggi possiamo guardare negli occhi i nostri figli e nipoti e finalmente, dopo tanti anni di discussioni e ritardi, possiamo dire loro che abbiamo unito le mani per lasciare in eredità a loro e alle generazioni future un mondo più abitabile”. Così Ban Ki Moon alla chiusura degli Accordi di Parigi del 2015 salutava raggiante “a monumental triumph for people and planet”. Cinque anni dopo, al momento della verità, in cui trasformare in realtà gli impegni presi nel primo vero piano di azione globale, il lavoro è lontano dall’essere compiuto. Il 2020 è l’anno della deadline: colmare il gap tra gli impegni presi dagli Stati e la soglia che gli scienziati indicano come necessaria è cruciale per limitare il global warming a 1.5° C. Fallire e non riuscire a rilanciare con target sempre più aggressivi trasformerà in canyon invalicabili le crepe nelle fondamenta dell’Accordo di Parigi. L’appuntamento è a Glasgow, tra il 9 e il 20 novembre, quando si terrà la Cop26, che molti definiscono la Conferenza delle Parti più importante di sempre. Il contesto è cambiato drammaticamente: 2020 dovrà essere l’anno dell’azione, molto più che quello della coscienza del problema. Sulla nostra consapevolezza, intorpidita da decenni di ignoranza studiata, codardia politica, negazionismo cinico e irresponsabile resistenza passiva, ha lavorato l’agenzia di comunicazione più efficiente del pianeta: la natura.
Il clima che cambia non è più una minaccia astratta in agguato nel nostro lontano futuro: è su di noi. Lo sentiamo. Lo vediamo. Nelle nostre siccità più lunghe e profonde, nei nostri uragani più brutali e negli incendi più violenti e iper-distruttivi. I grafici Nasa sono spietati: 18 dei 19 anni più caldi mai registrati si sono verificati dal 2000. Gli ultimi 5 anni sono i più caldi da quando registriamo, il 1880. Il record all-time del luglio 2019 ha tutta l’aria di essere di breve durata. I ghiacciai si sciolgono a ritmi peggiori del previsto, i livelli del mare aumentano più velocemente oggi che in qualsiasi momento dell’ultimo quarto di secolo. Gli schemi di migrazione umana sono già cambiati per eventi meteorologici estremi che interrompono i modelli di raccolto e costringono gli agricoltori a lasciare la loro terra, inviando rifugiati climatici. L’anno dell’azione, dunque, ma non a costo zero. Il 2020 dovrà essere l’anno della concertazione e dell’equità, pilastri che l’Ipcc da sempre include nei suoi rapporti. Perché il modo in cui i policy maker decideranno di spartire i costi attraverso i cluster sociali sarà la chiave per l’accettazione dell’opinione pubblica mondiale.
Il 2020 dovrà essere l’anno in cui negoziare la transizione energetica, per arrivare a Glasgow con il miglior compromesso possibile. Ed evitare che piazze zeppe di ragazzi che oggi con Greta Thunberg chiedono di ascoltare la scienza e finalmente agire, si riempiano di manifestanti furiosi. Quella di Glasgow non è l’unica data cruciale per il clima. Una settimana prima, il 3 novembre, le elezioni presidenziali negli Stati Uniti rappresentano un altro crocevia sulla strada del futuro climatico e del cigolante sistema globale. Quattro anni di inazione climatica sono un lusso che l’azione di contrasto al Climate Change potrebbe non potersi permettere. Le decisioni prese nel decennio tra il 2020 e il 2030 saranno esiziali per il modo in cui ci adatteremo al clima che cambia nei prossimi secoli. E magari allora, voltandosi indietro, il genere umano guarderà al 2020 come al nadir del processo in cui l’umanità si è ripresa indietro il suo pianeta.
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