Pubblichiamo uno dei testi del nostro libro “L’anno che verrà – 2020” scritto da Giuseppe De Bellis.
Vorremmo essere già alla notte del 3 novembre. Vorremmo essere lì per sapere chi farà la telefonata che concede la vittoria delle elezioni americane 2020. Se sarà il futuro candidato democratico, oppure se l’attuale presidente Donald Trump. Il 3 novembre sarà il giorno più rilevante dell’anno e che come ogni quattro anni condizionerà il quadriennio successivo. Per arrivarci passeremo tutti da molte tappe: la campagna elettorale per la Casa Bianca è cominciata già da tempo, anzi forse mai come questa volta è stata permanente dal 21 gennaio 2017, da quando cioè l’imprenditore newyorchese è si è seduto per la prima volta nello Studio Ovale, dando vita a una amministrazione molto diversa per stile, comunicazione, scelte, linguaggio di quello che avevamo visto finora.
I candidati alla nomination democratica sono tanti, anzi troppi, e rappresentano oggi talmente tante diversità politico-culturali-ideologiche che nelle primarie la lotta fratricida allontanerà dalla testa dell’elettorato il fatto che il vero nemico dei dem sia Trump. Succede sempre, direte voi. Vero, ma stavolta di più. A oggi tutti i sondaggi – per quel che valgono a distanza così lunga dai giorni decisivi – vedono in testa l’ex presidente Joe Biden, seguito dal senatore Bernie Sanders e dalla senatrice Elizabeth Warren. Tra questi, molti analisti vedono in Warren la soluzione più probabile, anche perché Biden che è la presunta vittima di Trump nell’Ucraina Gate potrebbe però pagarne le conseguenze.
Eppure sembra che il grande ecosistema liberal aspetti un cavaliere bianco o la novità che emerge spontaneamente dal lungo percorso delle primarie come un quadrifoglio in un campo. Ecco, il primo potrebbe essere o Michael Bloomberg, ultimo iscritto alla corsa per la nomination alternativa a Trump, o qualcun altro/a che spariglia ed entra in campo all’improvviso. Il secondo, invece, potrebbe essere Pete Buttigieg, il sindaco di South Bend (Indiana) che sembra voler imitare la strategia vincente di Obama nel 2008: conquistare il consenso in Iowa, dove con i caucus cominciano le primarie, per scalare posizioni su posizioni.
Le possibilità di togliere la Casa Bianca a Trump passano più per la scelta di un candidato giusto che dalla giustizia, anche perché la storia insegna che l’impeachment del presidente non è mai passato. E poi trovare il candidato o la candidata giusti è una strada più affascinante. Quella che dà dignità alla politica, quella che legittimerebbe una vittoria, quella che lascerebbe meno strascichi e un’America meno divisa.
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