Pubblichiamo uno dei testi del nostro libro “L’anno che verrà – 2020” scritto da Mattia Bernardo Bagnoli.
Vladimir Putin vola alto, altissimo (forse troppo) e il 2020 servirà a capire se lo zar alla fine si brucerà le ali, novello Icaro, al sole delle sue ambizioni oppure gli riuscirà l’azzardo e si guadagnerà i galloni di signore indiscusso della geopolitica mondiale.
Come sempre lo stemma russo, l’aquila bicefala, ci aiuta a capire le posta in gioco: un becco fisso sulla politica estera, il mondo di fuori, e uno rivolto a quella interna, il mondo di dentro, che pur sobbolle, nonostante la stretta ferrea del Cremlino sulle leve del potere. Partiamo da qui. L’anno che verrà precede le elezioni parlamentari del 2021 e i tecnici di Putin sono già al lavoro per capire come affrontarle, probabilmente riformando per l’ennesima volta la legge elettorale. Il consenso infatti cala e dopo l’ondata di proteste dell’estate scorsa la missione è una sola: stringere i ranghi e rinnovare i meccanismi di gestione dell’opinione pubblica per incanalare la stanchezza dell’elettorato in approdi saldamente controllati dagli uomini dello zar – magari creando ad hoc movimenti e partiti nuovi, persino, si sussurra, di stampo ecologista.
L’economia, poi, continua a non decollare e i grandi progetti nazionali, varati dal Cremlino con l’intenzione di ravvivarla, avanzano a rilento o ristagnano. I russi sono stanchi di vivere male e stanno inviando messaggi chiari, anche se non sono pronti a far saltare del tutto il tavolo. Putin lo ha capito ma non può varare riforme vere e incisive perché così facendo minerebbe il sistema di privilegi e di controllo politico-economico da lui stesso creato: è il paradosso in cui si avviluppa la Russia di oggi e fonte potenziale d’instabilità. Se il fronte interno resta quindi mobile – peraltro sempre più ossessionato dal tema della successione, se davvero avverrà al termine dell’attuale mandato di Putin, nel 2024 – è nell’agone internazionale che Mosca trova piena soddisfazione.
Il ritiro delle truppe Usa dalla Siria ha spalancato al Cremlino le porte del Medio Oriente, dove è sempre più egemone grazie anche ai buoni rapporti personali con i leader di Iran, Iraq, Arabia Saudita, Giordania, Israele e Turchia; l’Unione Economica Euroasiatica è sempre più attrattiva e gli accordi di libero scambio con altri Paesi si moltiplicano; le iniziative del nuovo presidente ucraino Volodimir Zelensky vanno nella direzione indicata da Mosca e una svolta sulla crisi del Donbass non è più fantascienza. Putin “unchained”, insomma.
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