Il lavoro da casa sembra arrivato per restare.
Diverse aziende hanno annunciato l’intenzione di rendere questa modalità una possibilità stabile per i propri dipendenti, oltre l’attuale crisi sanitaria. Tra le grandi aziende in questi giorni è arrivato l’annuncio di Twitter, seguita poco dopo da Facebook: prevede che da qui a dieci anni circa metà dei propri lavoratori sia disponibile a proseguire l’attività dalla propria abitazione.
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Forse è ancora presto per dire se questo diventerà un modello dominante, ma nel frattempo vale la pena riflettere su come si possono gestire alcuni pro e contro della situazione.
Ci sono almeno tre macroaree che datori di lavoro e dipendenti dovrebbero considerare:
Questione di priorità
Secondo Charlie Warzel, opinionista del New York Times, quello che abbiamo dovuto fare in questi mesi, per necessità, è lavorare in isolamento.
Il lavoro da casa è un’altra cosa – vale a dire, una scelta – e funziona solo a una precisa condizione: che si dia priorità al bilanciamento tra vita privata e lavoro rispetto alla produttività. Pretendere presenza e produttività inesauribili è il modo migliore per ottenere il contrario.
Tecnologicamente saggi
Fatta questa premessa, in termini un po’ più pratici, bisogna fare i conti con lo spostamento delle interazioni lavorative, interamente o quasi, traslocate su vie digitali.
Per cavarsela un po’ di “new netiquette” può aiutare:
Continuare a fare squadra
L’elenco che abbiamo appena fatto, a sua volta, è una premessa operativa per l’obiettivo principale: mantenere il team di lavoro coeso.
Il lavoro a distanza potrà anche diventare uno standard diffuso, ma sarà sostenibile fondamentalmente a due condizioni: mantenere alto il livello di comprensione reciproca dei lavoratori e garantire una buona circolazione delle informazioni, interne ed esterne.
Uno dei maggiori rischi dell’isolamento – ne parla, ad esempio Gillian Tett sul Financial Times in un pezzo dedicato alla recente riapertura della Borsa di Wall Street – è quello perdere la visione periferica su ciò che accade, e concentrarsi, per quanto inconsapevolmente, su ciò che sta a portata di mano (digitalmente parlando, almeno) a scapito di una visione globale.
Per questo, informarsi proattivamente, creare momenti di scambio informale con i colleghi, condividere fonti di informazione comuni – potete dare un’occhiata, al riguardo, ai nostri abbonamenti aziendali o ai briefing corporate – è un antidoto al rischio di rinchiudersi eccessivamente nella propria “bolla” di riferimento.
Il lavoro mediato dalla tecnologia ha, in un certo senso, più che mai bisogno di umanità: lasciarla trasparire – anche sotto forma, qualche volta, di gatti e bambini che appaiono nell’inquadratura di una call – non è un male.
Se il lavoro da casa è destinato a confermarsi come modello diffuso, sarà altrettanto saggio creare linee di demarcazione: fisiche all’interno della casa, digitali riguardo a quali strumenti usiamo e per quali fini, e temporali per garantire un giusto spazio a tutte le aree della nostra vita.